L’amore è l’efflorescenza della Vita – V DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
V DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
At 9,26-31 Sal 21 1Gv 3,18-24
+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 15,1-8
Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
L’amore è l’efflorescenza della Vita
Ci sono vari tipi di legami e diversi modi di relazionarsi. Gesù, attraverso la parabola della vite e dei tralci, indica ai discepoli quello che Dio ha scelto di vivere con noi. Si tratta di una relazione il cui fine non è la semplice soddisfazione individuale del proprio volere, ma il mettersi al servizio della vita dell’altro, come rivela il sacrificio di Gesù sulla croce. L’amore è l’efflorescenza della vita. Si è vivi quando si porta frutto, cioè quando si dona all’altro qualcosa di sé e tratto da sè. In natura il frutto è il compimento di un processo di maturazione attraverso il quale ciò che è della pianta diviene patrimonio di altri. Il frutto non è mai in funzione della sussistenza della pianta, ma di chi lo raccoglie e se ne nutre.
Ogni relazione umana, in particolare quella fraterna e comunitaria, affinché maturi e produca frutti di pace, comunione, solidarietà, concordia, deve necessariamente compiere un cammino di purificazione. La parola di Gesù ci aiuta a farlo educandoci da una parte al distacco e dall’altro al sano attaccamento. L’archetipo della relazione feconda è quella sponsale che si realizza allorquando, dice Dio, l’uomo lascia sua madre e suo padre e si unisce a sua moglie per diventare una carne sola. Lasciare non significa abbandonare, o peggio ancora, rompere la relazione con i propri genitori, ma vuol dire avviare e accompagnare il processo di autoeducazione per il quale da dipendente/padrone degli altri si diventa liberi e consapevoli servi per amore. Il tralcio che non porta frutto è colui che vive un attaccamento insano all’altro perché è una relazione che non lo mette in grado di tirar fuori le proprie capacità e metterle a disposizione degli altri. Si può vivere in una situazione in cui si viene educati a vivere in funzione di sé stessi. Il tralcio infruttuoso rappresenta chi prende ciò che gli serve senza restituire. S’interrompe quella catena i cui anelli hanno la funzione di essere canali di trasmissione della vita che si riceve in dono. La forza di una relazione sta nella responsabilità di non trattenere per sé, ma trasmettere ciò che di bello e di buono ci viene donato. Il Padre, attraverso la parola di Gesù che opera nella Chiesa, educa invece a vivere l’appartenenza all’altro come un’esperienza di crescita personale finalizzata al servizio reciproco.
Il verbo rimanere, usato da Gesù, indica una relazione di reciproca appartenenza e cura. Questa relazione è caratterizzata dalla confidenza, dalla gratuità e dalla perseveranza. La confidenza si esprime nel superare ogni paura e senso di colpa e osare nel chiedere. Quando si crea un clima di intimità non ci sono segreti e inibizioni, né timori di essere giudicati o respinti; quindi, si può chiedere tutto perché ciò che si domanda non nasce dall’avidità ma dalla umile consapevolezza di aver bisogno dell’altro. Perché feriti dalle prove della vita cerchiamo consolazione e, accogliendola dal Signore Crocifisso Risorto, la doniamo ai nostri fratelli. La gratuità è l’esperienza gioiosa di essere raggiunti da un amore di Dio la cui misura supera i nostri meriti e anche le nostre colpe. La luce della Grazia permette di riconoscere e di accogliere l’altro come un dono e di offrirsi a lui con tenerezza e rispetto. Rimanere vuol dire lasciarsi abitare stabilmente da Dio, tenere aperto il cuore perché possa ospitare e custodire la Parola, come la terra il seme destinato a germogliare e fiorire. La perseveranza è l’esercizio del rimanere aggrappati a Cristo, l’unico punto fermo della nostra vita, soprattutto quando imperversano le tempeste fuori e dentro di noi.
Signore Gesù, vite le cui radici affondano nel Cielo, fai fluire abbondantemente la linfa della Grazia perché io, tuo piccolo tralcio, possa portare frutti di giustizia e carità. Unito a Te la mia vita fiorisce e fruttifica. Rendimi strumento di comunicazione del tuo amore. Le prove della vita procurano ferite e lacerazioni che provocano rabbia e delusione. Consolami e confortami perché esse, come i segni della tua passione, possano trasformarsi in sorgente di consolazione e conforto. Insegnami ad avere cura delle relazioni fraterne, a custodirle dal nemico che mi istiga alla ribellione e al disinteressamento. Apri i canali ostruiti dall’orgoglio perché possa lasciarmi sanare dal tuo perdono, vinci ogni resistenza che mi impedisce di essere responsabile dei miei fratelli. Istruiscimi nell’arte della pazienza perché impari la sapienza della mitezza.