Domande salutarmente scomode – Mercoledì della II settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Mercoledì della II settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Eb 7,1-3.15-17 Sal 109
+ Dal Vangelo secondo Marco (Mc 3,1-6)
È lecito in giorno di sabato salvare una vita o ucciderla?
In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo.
Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita.
E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.
Domande salutarmente scomode
In mezzo alla sinagoga c’è Gesù circondato da chi lo ha già posto sul banco degli imputati. Pur sapendo di essere un sorvegliato speciale non rinuncia ad esporsi confermando la sua predilezione per i più poveri. Si rivolge prima all’infermo chiamandolo vicino a sé e invitandolo a stare nel mezzo e poi pone una domanda retorica ai sedicenti giudici: «è lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». È un quesito che non trova risposta perché essi, resi ciechi dalla presunzione e dal pregiudizio, non si pongono il problema in alcun modo. Eppure domandarsi cosa è giusto fare, interpellare la coscienza, dialogare con qualcuno che sia altro da sé, lasciarsi interrogare dalla realtà è ciò che connota una persona che veramente mette in pratica i comandamenti di Dio. La domanda funge da provocazione per uscire dai labirinti mentali e interrompere il cortocircuito della malvagità.
Non è la legge che mi indica cosa sia giusto fare, ma il mettersi alla presenza del fratello e della sorella, averlo di fronte e prendere in considerazione la sua situazione di sofferenza. L’invito rivolto da Gesù all’uomo dalla mano paralizzata è una chiamata rivolta al poveretto per farlo uscire dalla zona oscura dell’anonimato e della indifferenza. Rivolgergli la parola e chiamarlo vicino a sé e in mezzo all’assemblea vuole comunicare che i poveri, coloro che sono mancanti di qualcosa, sono al centro della sua preoccupazione, ma soprattutto della sua predilezione.
Lo sguardo di compassione di Gesù verso l’uomo infermo che gli sta davanti stride con quello pieno d’indignazione e tristezza che riserva a coloro che gli si stringono attorno, non per proteggerlo ma per eliminarlo.
Gesù assume su di sé la tristezza di ogni persona malata, soprattutto quella che soffre la solitudine e l’emarginazione fino a prenderne il posto. È così che Dio salva l’uomo, prendendo il suo posto e morendo caricandosi del suo peccato.
Il bene, quello che salva, non è mai senza rischi personali. Gesù rischia e mette in gioco la sua vita pur di stare dalla parte degli esclusi.
La rabbia di Gesù non è tanto motivata dalle intenzioni malvage di chi lo scruta per accusarlo, ma dal rifiuto di lasciarsi guarire e dalle resistenze opposte al dono della grazia.
Signore Gesù, tanto profondo può essere l’abisso del pregiudizio in cui posso precipitare. La cecità dell’ingratitudine porta a paralizzare il cuore. Non cessare mai di inquietarmi con le tue domande scomode. Esse facciano cadere dai miei occhi le squame della presunzione e possano rompersi le catene dell’orgoglio permettendo alla Parola di Dio di guarire il cuore da ogni forma di paralisi.
Lo Spirito Santo turbi i sogni utopistici dell’ambizione che esclude dal suo orizzonte la volontà di Dio per sostituirla con squallidi interessi di parte.