L’onestà, forma pratica della giustizia, coniuga rispetto delle leggi e cura della persona – Martedì della IX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

L’onestà, forma pratica della giustizia, coniuga rispetto delle leggi e cura della persona – Martedì della IX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

2 Giugno 2020 0 Di Pasquale Giordano

Martedì della IX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

2Pt 3,11-15.17-18   Sal 89  

+ Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,13-17)

Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio.

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. 

Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». 

Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. 

Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». 

E rimasero ammirati di lui.

L’onestà, forma pratica della giustizia, coniuga rispetto delle leggi e cura della persona

In apparenza sembra che un gruppo di persone, composto da farisei ed erodiani, strenui difensori della legge di Mosè i primi e collaborazionisti col potere romano i secondi, si rivolgano a Gesù perché dirima una loro diatriba sulla liceità di pagare la tassa a Cesare. Da una parte i farisei alimentavano l’attesa del Messia promesso da Dio che avrebbe rovesciato dai troni i nemici e avrebbe ricostituito il regno di Davide, dall’altra, gli erodiani, traendo vantaggio dal governo dei Romani, erano dalla parte del re Erode, che a sua volta era un vassallo dell’imperatore. Gesù fiuta la trappola che gli tendono perché in realtà i suoi interlocutori vorrebbero farlo passare per Messia politico, un ribelle al potere costituito, come tanti si erano presentati al popolo in quegli anni. 

Si avverte un desiderio forte di cambiamento e di liberazione. I farisei interpretavano le attese del popolo, soprattutto quella parte, maggioritaria, che spesso subiva vessazioni e ingiustizie. Tuttavia, Gesù non ci sta a passare per un rivoluzionario o capopopolo. Dietro discussioni che sembrano di carattere valoriale e di principio, si nascondono interessi economici. Il dio denaro esercita un potere su tutti, anche su quelli che si professano molto religiosi e si ispirano alla legge di Dio. La tentazione più diffusa riguarda il rapporto col denaro. Gesù guarda la persona, non ciò che possiede. Egli non conosce il denaro e vuole vederlo. Chi invece vede solo denaro non potrà mai vedere l’uomo. Il denaro acceca se ci si lascia guidare da esso. 

Il denaro ha un’immagine e un’iscrizione che riporta il nome dell’imperatore. Il denaro gli appartiene e bisogna restituirglielo. Ma Gesù aggiunge che bisogna rendere a Dio ciò che è di Dio. Dio imprime la sua immagine e il suo nome nel tempio. Questa discussione avviene mentre Gesù è nel tempio di Gerusalemme. Il tempio non è solo un luogo sacro, ma è la casa del Padre nella quale i figli si riuniscono per pregare e per offrire sacrifici. Gesù, dunque, rifiuta l’idea che hanno di lui come messia politico mentre assume la piena responsabilità di ricordare a ciascuno la propria dignità di figli di Dio. Egli non è venuto ad abbattere i troni dei potenti, a sovvertire il potere politico, ma a collocare nel cuore di ogni uomo il trono di Dio perché diventi il suo vero tempio. 

Nel tempio di Gerusalemme si offrivano sacrifici anche per l’imperatore. L’abolizione di questo sacrificio fu una delle cause per cui l’imperatore inviò le truppe ad assediare e distruggere Gerusalemme e il suo santuario. Così si adempì anche la profezia di Gesù. Fu una catastrofe per Israele che cercava la libertà e invece, ribellandosi, trovò distruzione. 

La via che indica Gesù, e che lui stesso ha seguito, è quella della obbedienza e della mitezza. La vera forza non è quella militare, ma quella della perseveranza nel bene. L’obbedienza a Dio passa attraverso il rispetto dell’autorità costituita. Il che non significa supina accettazione del male, ma il fatto che il male causato dalle strutture di peccato, che possono annidarsi anche nei palazzi del potere, debba essere combattuto con le armi della giustizia. Si esercita l’obbedienza quando, liberi dall’accecamento dell’idolatria del denaro e del profitto, si guarda la realtà in cui si vive avendo cura delle persone. L’onestà coniuga il rispetto delle leggi e la cura alla persona. 

Possiamo dirci veramente cristiani quando, guidati dallo Spirito Santo, ci impegniamo più a curare le persone che i nostri interessi, gioiamo più per un dono condiviso che per un obbiettivo raggiunto da soli, siamo più attenti alle nostre parole e atteggiamenti piuttosto che critici censori di quelli altrui, ci rallegriamo per aver speso il tempo “inutilmente” con una persona bisognosa di ascolto invece di lamentarci di quello che ci manca.

Il cristiano non calcola quello che può guadagnare e come può aumentare i suoi ricavi ma riflette come può spendere i suoi carismi per il bene comune.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!