Ricominciare è rinascere – ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO A)
ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO A)
At 1,1-11 Sal 46 Ef 1,17-23
+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)
A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Ricominciare è rinascere
Si ricomincia … gli apostoli tornano in Galilea dove Gesù aveva dato loro appuntamento dopo la risurrezione. Si ricomincia dalla Galilea da dove tutto era iniziato. Questo non significa tornare indietro e ripartire come prima, come se nulla fosse successo.
Benché incompleta perché i Dodici sono diventati undici, la comunità dei discepoli risponde all’invito di Gesù a riunirsi insieme in Galilea. Mettendo da parte il pessimismo e il giudizio reciproco, i discepoli si ritrovano nuovamente insieme perché ciascuno si sente convocato da Gesù. Ognuno conosce e accetta di sé il limite, l’insufficienza, la debolezza senza nascondersi dietro le accuse rivolte gli altri per giustificare sé stesso. Si ricomincia; è un’occasione da non perdere!
Dodici era il numero delle tribù d’Israele, riunite in unico regno solo per tre generazioni. L’ unità e la compattezza del regno si erano sfaldate subito dopo a causa dell’orgoglio dei capi mossi dall’idea di essere padroni e non a servizio del popolo. La divisione e la frammentarietà in una comunità riflettono la distanza che separa l’uomo da Dio e dei fratelli tra loro. L’assenza di un suo membro crea in essa un vuoto che rivela anche il senso d’incompletezza che i discepoli avvertono interiormente. Si ricomincia con la consapevolezza di essere imperfetti, incompleti e mancanti. La prova che abbiamo attraversato ci ha spogliato della presunzione di mostrarci completi e pronti piuttosto che spingerci ad ambire ad essere perfetti come il nostro Padre celeste. L’ansia di apparire sempre efficienti e al “top” e la reticenza nel far emergere anche la parte debole di noi stessi, per timore di essere sopraffatti o giudicati dagli altri, ci induce a vivere in maniera non autentica e libera. La pandemia ci ha messo a nudo facendo emergere debolezze, fragilità, insicurezze, pregiudizi, che sono i veri motivi dell’isolamento o del distanziamento prodotto da un certo modo di impostare le nostre relazioni.
Come gli Undici, anche noi vorremmo ricominciare presentandoci all’appuntamento col Signore senza la paura di essere trovati mancanti, ma fiduciosi del fatto che il vuoto che ci appartiene è lo spazio che offriamo a Dio perché lo abiti. Gesù entra attraverso le ferite dell’umanità per colmare le lacune, per perfezionare la nostra capacità di amare.
Si ricomincia con l’incontro col Risorto davanti al quale tutti si prostrano. È un segno eloquente con il quale si vorrebbe dire: io sono niente e tu sei tutto, tu sei il Signore e io la creatura, tu il Maestro io il discepolo, tu il Re io il tuo servo. La prostrazione è l’atteggiamento che rivela il timore di Dio diverso dal terrore che ci schiaccia. La presenza di Gesù non ci fa rimanere a terra lì dove ci gettano i sensi di colpa, i dubbi, i rimorsi, lo scoraggiamento e la disperazione. L’incontro con Gesù non è un regolamento di conti, ma è la rimodulazione della relazione d’amore con lui e tra di noi.
L’empietà e l’ingiustizia dei capi, di cui si era contagiato tutto il popolo d’Israele, aveva portato alla frammentazione e alla dispersione, mentre la speranza, la fiducia e l’amore che Gesù ha vissuto nei confronti del Padre gli hanno permesso di conseguire il potere universale, quello che riunisce in un solo abbraccio tutti i popoli. Il potere nelle mani di Gesù non umilia e disprezza il peccatore ma valorizza la sua povertà. Egli ancora oggi si avvicina a chi ha la faccia immersa nella polvere della vergogna e del disonore per risollevarlo affinché il suo sguardo non sia perennemente ripiegato su sé stesso ma s’innalzi verso il cielo affinché impari guardare oltre e fuori di sè.
La missione che Gesù affida alla Chiesa non è la certificazione della sua piena idoneità, ma è uno stile di vita attraverso cui ogni discepolo diventa madre, generatrice di vita. Fare discepoli non significa “fare numeri”, ma generare alla fede nuove creature inserendole nella famiglia della Trinità e insegnando loro a vivere la legge dell’amore.
Gesù ci convoca non per riparare ciò che si è rotto, rattoppare ciò che si è lacerato, rammendare quello che si è consumato, ma per rinnovarci interiormente con il dono dello Spirito Santo. Ricominciare senza lasciarsi rigenerare il cuore ci condannerebbe a continuare quel modo di fare che ha creato distanze, ha causato defezioni e ha indotto alla paralisi, presenti già prima della pandemia. L’incontro con Gesù ci aiuta a valorizzare l’esperienza del dolore, della limitazione, del distanziamento come tempo della verifica per un ricominciamento che sa di rinascita e non solo una ripresa delle attività interrotte.
La missione è un cammino di rinascita personale attraverso il quale vivere nell’amore di Dio Trinità; è anche un cammino comunitario nel quale sono attirati e coinvolti tutti coloro che incontriamo perché affascinati dalla testimonianza di comunione e di servizio. La realtà non cambia a colpi di ordinanze ma migliora nella misura in cui avviene la trasformazione della mentalità – o meglio – la conformazione a Cristo.
La rinascita comporta un cambiamento del modo di amare non più ispirato ai valori mondani che esaltano l’efficienza a scapito dell’efficacia, che puntano sull’utile egoistico piuttosto che sul bene comune, che curano i propri interessi invece di prendersi cura delle persone. La missione che Gesù affida al discepolo si traduce nella capacità di costruire relazioni fondate sull’amore trinitario che fluisce dal cuore di Cristo. L’amore trinitario è diverso da quello imposto dal mondo. L’amore trinitario è relazione che genera, non emozione che consuma, vive del dono reciproco, non si esaurisce nell’ottenere quello che si vuole, si guarda attorno spingendo lo sguardo oltre sé stesso ed è creativo nel rispondere ai bisogni dell’altro, non si autocompiace e non è ripetitivo.
Siamo chiamati in questo tempo ad accogliere l’invito del Signore a riunirci attorno a Lui e per ricominciare. Solo trasformati dal suo amore potremo riprendere il cammino della vita non per tornare indietro ma per metterci in uno stato permanente di missione. Questa è la strada della nostra liberazione, quella sulla quale impariamo che la vita non è una sequenza di prove da superare, ma un’occasione da non perdere per essere felici amandoci reciprocamente come Dio ci ama.
Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!