Fruttificatori o sfruttatori? – Mercoledì della V settimana di Pasqua
Mercoledì della V settimana di Pasqua
At 15,1-6 Sal 121
+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Fruttificatori o sfruttatori?
La metafora della vite pone in primo piano l’opera del Padre che Gesù associa al personaggio dell’agricoltore. Nella Bibbia la vigna è l’immagine impiegata per descrivere il popolo d’Israele oggetto delle cure di Dio. Il Salmo 80 descrive in questi termini l’opera di Dio nei confronti d’Israele: «Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata. Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra» (vv. 9-10). L’evento dell’esodo è narrato con la simbologia agricola. La liberazione dall’Egitto è paragonata ad uno sradicamento. Si tratta di un’azione decisa, forte e radicale come è ogni intervento di Dio. Ma questo è stato solo l’inizio della Pasqua che è continuata nella scelta di Dio di mettersi alla guida d’Israele perché potesse avere la meglio sui nemici e fissare la propria dimora stabilmente nella terra preparata per lui e nella quale è diventato un popolo numeroso. Mentre il popolo eletto era nomade e pellegrinante la sua sussistenza dipendeva dai greggi e la figura del pastore ben si addiceva alla sua guida e liberatore. Prendendo possesso della terra e coltivandola cambiano abitudini, costumi, necessità, tipo di economia e mentalità. Dio veste i panni del grande agricoltore che si prende cura delle sue piante, tra di esse la più preziosa è la vite. Le immagini, tratte dall’esperienza della vita concreta, descrivono in maniera molto viva e concreta la relazione tra Dio e il suo popolo. Solo un uomo che coltiva la terra sa quale legame lo unisce ad essa e quanta passione ci mette per curare le piante. Le pagine della Bibbia voglio raccontare questo legame profondo che lega Dio all’uomo. Ogni azione di Dio è finalizzata a che l’uomo non sia solamente fertile, come può essere la terra, ma fecondo e portatore di frutti come lo è la vite. La fertilità della terra può essere associata alla capacità di una persona di fare qualcosa, ma la fecondità e la fruttuosità è la capacità di fare le stesse opere di Dio. San Paolo distingue le opere della carne, cioè la mera esecuzione dei precetti e norme della legge e il frutto dello Spirito grazie al quale abbiamo gli stessi sentimenti che furono di Gesù. Il profeta Isaia dedica un componimento poetico per cantare l’amore ferito e deluso di Dio per Israele, «la sua vigna»: «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi» (5, 1-2). È lo stesso profeta che spiega la metafora: «Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi» (v.7). Quella di Dio non è puro assistenzialismo ma cura della persona perché essa porti frutto, cioè diventi capace di fare la carità nella giustizia e nella rettitudine. Il profeta Isaia stigmatizza l’ipocrisia di chi ufficialmente attesta la sua fede e ma in maniera nascosta calpesta i diritti dei poveri. La malvagità del cuore può essere celata agli occhi degli uomini ingannati dall’apparenza, ma non può rimanere nascosta a Dio.
Gesù applica a sé la metafora della vite per dire che Dio Padre, ha mandato lui, suo figlio, per essere ancora più vicino al suo popolo. Attraverso Gesù il legame tra l’uomo e Dio si fa più stretto, è ancora più vitale. Senza l’unione con lui non possiamo fare nulla di buono. Se non custodiamo il rapporto d’intimità con Gesù e non rimaniamo radicati in lui le nostre saranno opere occasionali e passeggere.
Quello che ci rende fruttuosi o capaci di amare veramente è lo Spirito Santo che passa in noi solo attraverso la comunione stabile con Gesù. Sette volte nel brano del vangelo è ripetuto il verbo «rimanere in». Gesù è morto sulla croce per rimanere sempre uno di noi, uno come noi. Risorto, dona lo Spirito Santo, perché noi possiamo rimanere sempre con lui, uno con lui.
Non siamo tralci che sfruttano la vite senza portare frutto. Chi sfrutta senza fruttificare è destinato ad essere tagliato e gettato. Sfrutta chi prende e non dà, afferra senza condividere, gode della bontà ricevuta senza tradurla in carità nei confronti degli altri.
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!