La carità paziente messa alla prova – Lunedì della III settimana di Pasqua

La carità paziente messa alla prova – Lunedì della III settimana di Pasqua

27 Aprile 2020 0 Di Pasquale Giordano

Lunedì della III settimana di Pasqua

At 6,8-15   Sal 118  

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,22-29) 

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna.

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.

Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».

Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

La carità paziente messa alla prova

La folla che si era saziata con i pani che Gesù aveva distribuito si organizzano per prenderlo per farlo re. Ma Gesù si sottrae rifugiandosi da solo sul monte. I suoi discepoli invece, giunta la sera, erano scesi verso il lago e avevano iniziato la traversata. Riuscivano a fatica ad andare avanti perché il mare era agitato a causa di un vento contrario. Mentre i discepoli vogano con fatica con grande stupore vedono Gesù andare verso di loro camminando sulle acque. La prima reazione è la paura, ma Gesù li rassicura: «Sono io». È il nome di Dio! Gesù si manifesta ai discepoli col nome di Dio. Nelle difficoltà, soprattutto quando sembra di essere soli, Dio mostra la sua presenza rassicurante. I discepoli «vollero prenderlo sulla barca» e la barca giunse subito alla meta. La folla stava andando da Gesù per prenderlo per farlo re, replicando il peccato del popolo d’Israele che si era fatto un vitello d’oro. Gesù fugge perché si sottrae alla tentazione di farsi re che per la folla sarebbe stata la tentazione di farsi un idolo. Gesù non è venuto per essere un idolo, ma ricevere dal padre il potere regale che rende liberi coloro che lo accolgono e credono in lui. I discepoli davanti alla manifestazione divina di Gesù compiono un atto di fede, accogliendolo nella barca. La barca è il simbolo della propria vita fatta di relazioni affettive innanzitutto.

La folla non si dà per vinta e si rimette alla ricerca di Gesù. Guarda, osserva, capisce che Gesù non è più lì e si organizza autonomamente per attraversare il mare e raggiungerlo. Una volta trovato gli rivolge una domanda “curiosa”. I discepoli sanno quanto è stato difficile di notte raggiungere la riva senza Gesù. Hanno toccato terra quando hanno accolto Gesù, non “catturato”. I discepoli sulla barca, frenata dal vento, hanno visto Gesù e hanno avuto paura ma l’hanno vinta credendo in lui e accogliendolo nella barca. La folla vuole “prendere” Gesù per assicurarsi il cibo che perisce. Per raggiungere i suoi scopi s’ingegna le cose più strane. Gesù esorta la folla a cambiare mentalità e a non prefiggersi come fine della vita quello di accaparrarsi beni che periscono. Il pericolo che possiamo correre è quello di affannarci nel nostro lavoro, anche quello pastorale, non per incontrare il Signore e accoglierlo come il dono di Dio, ma come un trofeo da esibire. Non di rado ci lamentiamo perché gli altri non corrispondono alle nostre attese e a quello che diamo loro. Arriviamo a rinfacciare quello che abbiamo fatto facendolo pesare. La folla pretende da Gesù. L’esercizio della carità è messo a dura prova davanti alle pretese di coloro ai quali abbiamo fatto del bene e che vorrebbero trattarci con interesse.  Il discepolo impara da Gesù a usare la carità anche nel rimproverare mettendo in evidenza l’errore senza umiliare l’errante. Il dialogo è una forma di carità paziente perché è un’opportunità offerta per discernere l’importanza dei desideri e l’urgenza di soddisfare quello primario: nutrirci della Parola di Dio. 

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!