La lingua che mormora sega il ramo sul quale si è seduti – Giovedì della IV settimana di Quaresima
Giovedì della IV settimana di Quaresima
Es 32,7-14 Sal 105
+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 5,31-47)
Vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei:
«Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera.
Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.
E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita.
Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?
Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».
La lingua che mormora sega il ramo sul quale si è seduti
Nella prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, Dio accusa il popolo d’Israele di idolatria perché, voltandoGli le spalle, hanno adorato un idolo, opera delle loro mani. Il peccato d’idolatria è paragonabile a quello dell’adulterio nel quale si tradisce la persona che si diceva di amare per cercare e trovare piacere altrove. Il peccato non è semplicemente la trasgressione di una norma, ma è la rottura dei legami personali. Ogni relazione, soprattutto quella affettiva, è un canale attraverso cui passa la vita. Ogni qualvolta ostruiamo col peccato, che è sempre un atto di orgoglio ed egoismo, il sistema circolatorio della misericordia non permettiamo che la nostra vita riceva l’apporto necessario di amore. Un corpo al cui interno non circola vita è morto e si corrompe; così avviene quando facciamo cadere nel vuoto la Parola di Dio. Quando eliminiamo Dio dalla nostra vita adoriamo il nostro io.
Davanti alla denuncia che Dio fa a Mosè del peccato mortale del suo popolo, il profeta intercede per Israele. Gesù è la risposta di Dio alla preghiera di Mosè. Il Padre manda suo figlio a compiere un’opera di sanazione dal virus del peccato. Mettendo da parte l’ira e rinunciando ad ogni forma di condanna, invia Gesù a farsi prossimo all’uomo affinché, soprattutto nel dolore, si converta dalla sua condotta malvagia che lo porta alla morte e si accorga che solo Dio lo ama e gli dà la vita ed è solo confidando in Lui che trova salvezza.
Suonano quanto mai attuali le parole ammonitorie che Gesù rivolge a quelli che danno ascolto agli uomini di Dio a corrente alterna o per convenienza, e coloro che studiano e citano la Scrittura usandola, non per trovare conforto e motivo per fare una personale revisione di vita, ma per percuotere il petto degli altri, accusare, spargere paura e diffidenza. Molti si fanno giudici degli altri mostrando insofferenza verso ogni forma di autorità. Quanto male fa al corpo sociale iniettare discredito, alimentare polemiche, scaricare la propria rabbia sugli altri.
Gesù è la voce da ascoltare e il viso da contemplare del Padre; Lui è la nostra salvezza! Le opere che compie rivelano la misericordia che Dio vuole offrire ad ogni uomo perché viva. Ma oggi come parla Dio e come si fa prossimo? Lo fa attraverso tutte quelle persone che a vario titolo e con diverse competenze e responsabilità si prendono cura di noi. La loro opera, come quella di Gesù, spesso non è riconosciuta valida né apprezzata, ma aspramente criticata, accentuando i limiti, facendo processi alle intenzioni e presumendo di avere la soluzione in tasca.
La rabbia può essere un fattore moltiplicatore dell’orgoglio, dell’egoismo e dell’avidità, che sono il vero male dell’uomo contro cui combattere. Nei momenti di maggiore debolezza sociale è quanto mai opportuno rinforzare le difese immunitarie con l’amore, la stima, la gratitudine e la collaborazione reciproca.
Facciamo attenzione alle critiche ingenerose, ingiuste e sproporzionate rispetto alle proprie competenze e reali conoscenze perché rischiamo di tagliare il ramo dell’albero dove siamo seduti.
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!