Beati gli invitati alla mensa della parola – Lunedì della I settimana di Avvento
Lunedì della I settimana di Avvento
Is 2,1-5 Sal 121
+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 8,5-11)
Molti dall’oriente e dall’occidente verranno nel regno dei cieli.
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».
Beati gli invitati alla mensa della parola
“Verrò e lo guarirò”. Gesù rimane colpito dalle parole del centurione che gli parla del suo servo paralizzato a casa e sofferente. Non c’è nessuna richiesta da parte del soldato romano, anche se Gesù intuisce e risponde alle sue attese di guarigione. Gesù sembra dire al centurione: non temere per il tuo servo, io sono venuto per guarire. Il centurione non dice a Gesù quello che deve fare, ma semplicemente gli parla del servo così da renderlo al lui presente.
Proprio perché il pagano riconosce che attraverso Gesù possa esserci l’intervento sanate di Dio, riconosce la sua indegnità, ma al contempo l’autorevolezza della sua parola. Se il centurione, che è un subalterno, quando ordina qualcosa viene compiuta, quanto più efficace sarà la parola di Gesù che tutto crea e ricrea.
Il comando che il centurione richiede da parte di Gesù ha una forza tale che essa non si realizza tramite servi, ma nei servi. Pur essendo uno che comanda il funzionario romano si pone davanti a Gesù come servo della sua parola.
Il centurione nella fede è arrivato prima di altri discepoli di Gesù i quali hanno difficoltà ad accettare che l’insegnamento del loro Maestro abbia un potere taumaturgico guarendo soprattutto il cuore.
Essere servi della parola significa lasciare che essa operi in noi.
“Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola”. La fede del centurione si esprime nella richiesta anche di una sola parola. Gesù ha insegnato a chiedere a Dio non di dare o fare qualcosa ma di ricevere il pane quotidiano, cioè una parola che trasforma il cuore rendendolo simile al suo.
Il racconto non termina con la guarigione del servo, ma con la rivelazione offerta da Gesù. Chi si nutre della sua parola quotidianamente e la medita facendola abitare nel cuore, in qualsiasi punto della terra sia e in qualsiasi condizione si trovi, è ammesso alla comunione festosa dei santi e con loro partecipa alla gioia riservata ai servi buoni e fedeli.
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!