Annunciate la morte di Gesù fino alla fine – Giovedì santo
San Paolo ricorda ai Corinti “ Ogni volta che mangiate questo pane e bevete questo calice, voi annunciate la morte di Gesù”; l’Eucaristia è l’annuncio gioioso della morte di Gesù! Detta così suona come una drammatica contraddizione: quale gioia ci potrebbe mai essere nella morte? Tuttavia quella di Gesù non è la conclusione della vita a cui tutti siamo destinati, ma il compimento di un progetto di vita che nel dono totale di sé per la comunione trova il suo culmine e verso il quale ogni cristiano è condotto.
Gesù sa che è giunta l’ora nella quale si compirà, attraverso il passaggio del sacrificio della croce, la sua consacrazione al Padre. Infatti ogni atto di consacrazione è far passare qualcosa da ciò che è del mondo a ciò che è di Dio. Gesù è l’unico sacerdote che non offre al Padre qualcosa ma se stesso, sicché con la morte la sua vita non è perduta ma pienamente compiuta. Contemplando il Crocifisso non ci fermiamo alla sofferenza che ci spaventa, ma in quel corpo sentiamo il contatto di Dio. La sua carezza ci consola, il suo abbraccio ci incoraggia, la sua mano ci rialza, il suo sguardo ci rassicura, la sua parola ci orienta, il suo esempio ci sveglia.
L’evangelista Giovanni descrive con tono solenne la liturgia della lavanda dei piedi nel cenacolo, segno eloquentemente esplicativo della liturgia sull’altare della croce. Significativi sono i gesti silenziosi di Gesù che si spoglia, si cinge con un asciugamano, bagna i piedi di ciascuno e li asciuga, per poi riprendere la veste.
Il valore di questi gesti non è immediatamente percepibile tant’è che le reazioni emotive sono diverse. È registrata quella di Pietro che, imbarazzato, in un primo momento rifiuta di essere lavato i piedi. I gesti di Gesù da una parte preannunciano la sua morte e risurrezione, dall’altra, una volta avvenuti gli eventi della Pasqua, diventano il linguaggio del cristiano, cioè il suo modo abituale di professare la sua fede.
La deposizione della veste è segno della volontà di Gesù di spogliarsi per entrare in una relazione fraterna con i suoi discepoli. Quando è in crisi una relazione urge eliminare ogni ostacolo e ogni distanza che una certa divisa può causare, financo il senso del dovere o il ruolo che si assume. Mettersi a nudo però non significa annullarsi, scoprirsi non consiste nel coprirsi di vergogna denunciando le proprie colpe; invece è l’atteggiamento propositivo di chi apre vie di comunicazione pur tra durezze e resistenze. Deporre le vesti è un gesto di fiducia e coraggio perché significa rinunciare a tutto ciò che può essere motivo di rottura, divisione, scandalo. No alle complicazioni, alla puntigliosità, al rigorismo e al perfezionismo o al contrario alla banalità, l’approssimazione, la superficialità, l’emozionalismo, sì alla semplicità, alla sobrietà, all’essenzialità.
Gesù si cinge con l’asciugamano la vita quasi a coprire la parte più intima. Coprirsi con l’asciugamano non è un atto di pudore per nascondersi da sguardi giudicanti. Consapevoli delle proprie fragilità e mancanze a volte si cerca di rimediare con gesti che sembrano di amore ma sono solo di compiacenza. L’asciugamano posto attorno alla vita in realtà non indica il volontariato, seppur generoso, ma che rischia di essere episodico perché ispirato al desiderio di essere utile a qualcuno. La vera esigenza non è quella di difendere la nostra privacy da qualcuno, ma di custodire la nostra interiorità, coltivare la spiritualità, l’intimità con Dio. La parte più intima di noi ha un potenziale generativo che deve rivelarsi. No dunque ad ogni forma di intimismo che ci isola, sì all’intimità che ci unisce in comunione con Dio e tra di noi.
Gesù immerge i piedi dei suoi discepoli nel catino con dell’acqua e li asciuga con l’asciugamano di cui era cinto. Questo gesto richiama due aspetti fondamentali dell’identità di Gesù: condurre i passi degli uomini sul sentiero della libertà, attraverso i passaggi dolorosi della vita, e consolare. Il duplice gesto di Gesù dà il senso pieno di ogni autentico servizio all’uomo. Il vero servizio non è sostituirsi all’altro, non può ridursi nel dare qualcosa a qualcuno; si tratta di fare o dire qualcosa per l’altro. Gesù infatti afferma: questo è il mio corpo dato per voi, non a voi. Dunque il servizio è dono se è per-dono cioè un dono fatto perché chi lo riceve possa essere lui stesso un dono per gli altri. Servizio è permettere ad una persona di realizzare la sua vocazione facendo fruttificare i suoi carismi e sviluppare le sue inclinazioni naturali. Gesù avvolge con l’asciugamano i piedi bagnati asciugandoli. Asciugare le lacrime, il sudore, le ferite è il gesto che dice il ministero della consolazione e della guarigione. Con Delicatezza, gentilezza, pazienza, tatto, rispetto ci si pone nei confronti dell’altro facendo proprio il vissuto del fratello con le sue gioie e dolori, le fatiche e le soddisfazioni. Asciugare significa ascoltare col cuore interiorizzando la Parola di Dio per comunicare lo Spirito Santo che è forza, conforto e speranza.
Rivestirsi è il simbolo della risurrezione. Gesù è rivestito dal Padre dell’autorità che conferisce alla sua parola e alla sua azione un potere salvifico. Il potere dell’amore fedele ed eterno è dato a noi attraverso il suo sacrificio. Il potere di amare cresce nella misura in cui è esercitato reciprocamente, gli uni per gli altri. No ad ogni forma di settarismo autoreferenziale, sì al reciproco scambio di amore per la promozione reciproca. La Chiesa, depositaria dell’eredità inestimabile di Gesù, non può essere un insieme, seppure ordinato e vivace, di individui, ma un corpo vivo, una comunità in cui sperimentare il calore generativo della famiglia e crescere come figli di Dio e fratelli tra noi. Annunciare la morte di Gesù finché egli venga significa ripresentare nel segno liturgico dell’Eucaristia e nel ministero quotidiano, dovunque e in qualsiasi situazione ci si trovi, l’amore di Dio.